Lo abbiamo visto raccontare, servendosi della sua pelle e dei suoi occhi, uno spicchio della realtà partenopea, divenendo così noto per aver interpretato uno dei personaggi più iconici della serie tv Gomorra, a tratti tanto criticata per aver messo in luce briciole, seppur ingenti, della vita a Napoli.
Così, dopo una filmografia che man mano sta divenendo sempre più prospera, Marco D’Amore è tornato nelle sale cinematografiche, seppur per soli 3 giorni di dicembre, con Napoli Magica, un documentario di 90 minuti, distribuito da Vision Distribution e diretto dallo stesso D’Amore, che nei suoi panni si prefigge di indagare a fondo alle origini mistiche della città.
Svincolato da ogni canone narrativo precedente, D’Amore inscena una sorta di meta-documentario, e cioè un documentario nel documentario, portando sullo schermo i retroscena fittizi della resa cinematografica.
La narrazione iniziale si presenta come incalzante, allegra e neorealista, poiché attraverso interviste a scopo istruttivo -cioè allo scopo di impartire nozioni sulle tradizioni folkloristiche partenopee e sulle loro origini- rende protagonista indiscussa la gente comune, lontana dal mondo dell’intrattenimento, ma radice del cuore pulsante della città. Quest’ultima è, infatti, al centro delle interviste, tenute tra vicoli e vasci rigorosamente in linguaggio dialettale e supportate dai necessitati sottotitoli, le quali toccano più punti dell’immenso, affascinante, magico e a tratti tenebroso credo napoletano: dalla sirena Partenope, passando per il munaciello, il malocchio e l’uovo d’oro, sullo sfondo di un dicotomico contrasto fra luci e ombre, superficie e profondità, Napoli terrestre e sotterranea.
Una narrazione che avanza in modo sempre più cupo e singolare, quantomeno inaspettato, legandosi a braccio coi fili conduttori del racconto, e cioè leggenda e storia, sacro e profano, sotto e sopra. Così il racconto, avvoltosi in una nube sempre più tenebrosa, diviene una sorta di itinerario dantesco, in cui D’Amore riveste i panni di un Dante extra generazionale, ritrovatosi nei condotti della città sotterranea di Napoli e alle prese con un arduo ritorno alla superficie, divenuta così una sorta di paradiso terrestre.
Il viaggio inizia dai mistici sotterranei, sfuggendo a canoni cronologici e dimensionali, tanto da appropriarsi di figure mitologiche anacronistiche, trasformate in cinematografiche. Alla magia indiscussa della città e della sua gente, dunque, D’Amore aggiunge il surrealismo cinematografico, quasi non necessitato, a tratti peccando d’eccedere. Napoli, infatti, non ha bisogno che delle sue tradizioni e della sua gente.
E’ magica di per sé.